Venerdì 1 marzo si è tenuto a Roma, presso il Palazzo dei gruppi parlamentari, il convegno “Produzione e commercio di armamenti: le nostre responsabilità. Le Chiese e la società civile per un’economia di Pace”.
L’incontro è nato per “portare dai margini al centro delle istituzioni le due periferie del Sulcis, in Sardegna, e dello Yemen, connesse dalla morte e dalle armi”, ha spiegato Elizabeth Green della Chiesa battista di Carbonia e Sulcis Iglesiente. “In un clima di dialogo ecumenico tra le Chiese e di dialogo costruttivo tra tutti gli uomini di buona volontà, auspico che possiate contribuire a creare una cultura della pace, davvero alternativa a quella che affida alle armi il tema della sicurezza sociale”, ha scritto il presidente della Cei, card. Gualtiero Bassetti, in un messaggio inviato ai partecipanti. Mons. Giovanni Ricchiuti, vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti e presidente di Pax Christi, ha ribadito il ruolo fondamentale della Chiesa che “deve continuare a formare, educare ed informare, perché la disformazione su questi temi non fa bene, non crea dialogo, confronto, dà una verità di chi ha interessi da salvare”. E’ importante quindi, prosegue Mons. Ricchiuti, “abbattere le forme di contrapposizione e di conflitto è il nostro compito, ovvero seminare nei solchi difficili della storia il germe di un mondo nuovo che è possibile solo nella pace”. Pace che, ha precisato, “ha bisogno di scelte precise a livello politico, che non perseguano finalità che salvaguardino solo alcuni interessi, ma guardino all’interesse vitale dell’umanità”. “La razionalità della pace deve vincere l’irrazionalità della guerra, la guerra giusta non esiste”. “Tutto deve essere orientato a persuadere e dissuadere: questa follia della guerra e della corsa alle armi non può che portare alla distruzione”. Le realtà promotrici del Convegno: rinnovano la richiesta al Governo italiano di bloccare la fornitura di armamenti a Paesi in conflitto, come nel caso della fornitura di armi alla coalizione a guida saudita che sta compiendo bombardamenti in Yemen, considerati dalle Nazioni Unite “crimini di guerra”. Chiedono a tutti gli attori istituzionali, del settore industriale e finanziario, di lavorare per una graduale riconversione al civile dei settori industriali militari maggiormente in contrasto col principio costituzionale del ripudio della guerra. Invitano le Chiese e i soggetti della società civile ad una continua riflessione sui temi della produzione e del commercio di armi, in favore una crescita dell’economia della pace. Infatti, “la produzione e il commercio di armi scatenano un circuito vizioso che alimenta i conflitti nel mondo e crea le premesse per l’insicurezza e l’instabilità democratica”, ha spiegato don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei, per il quale “non c’è ragione né etica né umana né spirituale che possa giustificare questa folle corsa”. “Non ci sono alternative: disarmare i cuori e gli arsenali – ha scandito – è una conditio sine qua non per la costruzione della pace”. Per la Chiesa la corsa agli armamenti è “una struttura di peccato, cioè una scelta che ha molteplici conseguenze negative e distruttive sull’uomo e sulla società”, ha concluso il direttore Cei che ha citato il “modello positivo avanzato da Rondine Cittadella della Pace grazie alla campagna ‘Leaders for Peace’” con la quale “si chiede ai governi di sottrarre una cifra simbolica dal proprio bilancio della difesa e indirizzarla alla formazione di altrettanti leader globali in grado di intervenire nei principali contesti di conflitto del mondo, per promuovere lo sviluppo di relazioni sociali e politiche pacificate”.
Per un approfondimento ulteriore sul tema del disarmo: