“I poveri non ci lasceranno dormire”. Alcuni anni fa l’uscita di questo libro di padre Alex Zanotelli che raccontava la vita nello slum di Korogocho rappresentò un pugno nello stomaco per molti. Era difficile non sentirsi chiamati in causa come cristiani, perché nel testo il missionario comboniano dava voce alle sofferenze e alle speranze del Sud del mondo. Nelle edizioni successive del testo Zanotelli descrisse anche il suo viaggio tra gli ultimi Italia.
Di fronte alla povertà si vive spesso una sorta di rassegnazione dettata da una lettura frettolosa della Bibbia (“I poveri saranno sempre con voi”) che rischia di diventare per ciascuno di noi una sorta di autoassoluzione: la povertà è una realtà endemica difficile/impossibile da estirpare. E così la povertà diventa un fenomeno sociale da leggere solo in chiave statistica. Questo, però, non dovrebbe esimerci dal guardare negli occhi il volto del povero. Vicino e lontano.
Quando nel 2017 il Papa ha istituito la Giornata mondiale dei poveri (il 19 novembre), ha ricordato a tutti che il legame tra annuncio del Vangelo e amore per i poveri ha una storia bimillenaria. Al giovane ricco che chiede che cosa deve fare per raggiungere la vita eterna, Gesù risponde che deve lasciare tutto (“vendi quello che hai e dallo ai poveri”).
In Matteo 25, Gesù dice chiaramente che per accedere alla vita eterna non conta il nostro rapporto privato con Dio ma quello con il fratello in difficoltà: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli lo avete fatto a me”. Oggi, però, si è diffusa una certa interpretazione che considera il povero solo come mezzo per arrivare a Gesù. Si arriva così a guardare il povero dall’alto verso il basso: “Si aiuta il povero perché in lui si cerca di vedere il volto di Gesù, ma poi allo stesso tempo si spera di non incontrarlo più. Gesù non dice ‘quello che fate ai poveri è come se lo aveste fatto a me’, ma ‘lo avete fatto a me’; Gesù sta proclamando il povero come presenza reale della sua stessa Persona. Dunque il povero – afferma don Carlo Maccari – non va aiutato perché in lui cerco il volto di Gesù, ma perché nel povero incontro Gesù, che mi parla e mi interroga”. Nella meditazione mattutina a Santa Marta, il 16 giugno del 2015, il Papa spiegò che “la povertà è proprio al centro del Vangelo, tanto che, se noi togliessimo la povertà dal Vangelo, non si capirebbe niente del messaggio di Gesù”. Ma, purtroppo, arriviamo a dubitare anche di questo. “Il Vangelo oggi – ha chiosato Enzo Bianchi – divide gli stessi cristiani: infatti è sulla fedeltà alle parole di Gesù che Papa Francesco è criticato e ormai anche insultato da alcuni cattolici: il Vangelo è ancora scandaloso, soprattutto quando ci parla dei poveri, degli stranieri, dei peccatori”.
Nelle ultime settimane si è parlato molto (troppo?) del gesto dell’elemosiniere polacco, il card. Krajewski, che ha tolto i sigilli al contatore della luce di un palazzo occupato da 450 persone. Per dirla con don Milani in “Lettera ai giudici”, l’uomo di Chiesa è destinato a trovarsi sempre a cavallo fra legalità (legge di oggi) e illegalità (legge di domani), di cui indica la direzione di cambiamento. La Chiesa ha chiamato, semplicemente, in causa la politica, incapace di “intervenire su una povertà che ha assunto dimensioni croniche. Episodi come questi – ha scritto Ernesto Preziosi – mettono in primo piano la necessità/responsabilità della politica e indicano anche una strada per quanti, da credenti, vogliono impegnarsi in questo campo. Siamo di fronte ad uno scenario inedito: forse occorre fare scelte radicalmente nuove”.
di Luciano Zanardini